TRIBUNALE DI MONDOVI' - 13 ottobre 2005 G.U. P. Demarchi
Rapporti patrimoniali tra coniugi - Fondo patrimoniale - Esecuzione su beni e frutti - obbligazioni relative a bisogni della famiglia - Attività di impresa di uno dei coniugi - Debito per acquisto di merci - Esclusione.
I debiti derivanti dall'acquisto di merci per l'attività di impresa condotta da uno solo dei coniugi non sono riconducibili ai bisogni della famiglia ex art. 167 cc poiché i redditi di tale attività appartengono allo stesso che non è pertanto tenuto a destinarli a tali bisogni se non limitatamente all'onere di contribuzione familiare al quale, peraltro, può assolvere integralmente anche con proventi diversi.
Precedenti giurisprudenziali: non risultano conformi.
Riferimenti normativi: artt. 167 - 171 c.c.
Bisogni della famiglia, debiti d'impresa condotta da uno solo dei coniugi ed esecutività sui beni conferiti nel fondo patrimoniale.
L'Autore esamina e approfondisce gli aspetti che hanno caratterizzato la controversia decisa dal Giudice di Mondovì con particolare riferimento alla individuazione dei soggetti nell'ambito familiare che possono essere ritenuti beneficiari dei frutti derivanti dai beni conferiti nel fondo patrimoniale, soffermandosi, quindi, anche considerando la dottrina e la giurisprudenza esistenti sul punto, sulla nozione di bisogni familiari a sua volta strettamente collegata alle ipotesi di esecutività sui beni del fondo previste dall'art. 170 c.p.c..
1) Il fondo patrimoniale. Premesse.
L'oggetto della presente fattispecie riguarda l'ambito di delimitazione o, se si vuole, di estensione della nozione di bisogni familiari (al cui soddisfacimento è finalizzata la costituzione del fondo familiare) al fine di stabilire l'espropriabilità o meno del bene facente parte del fondo. Nel caso in esame un coniuge, nell'ambito della propria attività di idraulico, aveva acquistato una serie di prodotti termosanitari da un fornitore il quale, successivamente, non essendo stato saldato, ha instaurato una procedura esecutiva immobiliare provvedendo al pignoramento di una quota pari alla metà del bene immobile compreso nel fondo patrimoniale, costituito in epoca antecedente al sorgere del debito appena indicato.
E' l'art. 170 cc, infatti, a statuire che "L'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia". Trattasi di una regola espressa in forma negativa e piuttosto scarna, tale da lasciare privi di regolamentazione certa o per lo meno agevole numerosi casi che possono presentarsi (e che si sono presentati) nella pratica. E regole supplettive e integrative sono state necessariamente dettate dalla giurisprudenza sia di merito, come nel caso di specie, che di legittimità. Ma a ben vedere l'intero istituto del fondo patrimoniale presenta difficoltà di varia natura per l'interprete. Ogni volta che si affronta tale tema e si sfoglia una monografia ad esso dedicata affiorano numerosi uno dopo l'altro i profili problematici, anche oscuri, molti dei quali riguardano profili di teoria generale . Tanto per fare degli esempi, si pensi al problema della natura del fondo, al suo inquadramento o meno quale soggetto dotato di una propria autonomia, al problema della legittimazione attiva dei figli minorenni in relazione ad azioni volte alla salvaguardia dei beni compresi nel fondo , alla possibilità o meno di conferire quote di società di persone o quote di società a responsabilità limitata e, in relazione all'art. 170 cc , al problema dell'esecutività o meno dei beni compresi nel fondo quando, ad esempio, il titolo esecutivo ha ad oggetto una obbligazione non contrattuale, ad esempio risarcitoria . Gli esempi possono essere molti altri.
In questa occasione, per evidenti ragioni, ci si sofferma sulla nozione di bisogni della famiglia prevista dall'art. 170 cc (ma anche dagli artt. 167 e 168) e su cui si è soffermato ampiamente il giudice di Mondovì, come più oltre verrà evidenziato, salva qualche considerazione in ordine ai soggetti che possono essere considerati in questa materia "familiari" e, come tali, destinatari e beneficiari dei frutti derivanti dai beni in parola.
2) L'individuazione dei familiari beneficiari.
La specificazione della nozione di bisogni della famiglia appare quanto mai fondamentale. Infatti, tale concetto costituisce il filo conduttore di tutta la disciplina, la ragione per la quale l'istituto stesso esiste e il soddisfacimento di tali bisogni costituisce, appunto, la finalità di esso. Inoltre, la nozione in parola costituisce l'elemento discretivo fondamentale per stabilire quando i creditori possono legittimamente aggredire in via esecutiva i beni del fondo. Si tratta di delineare delle regole e dei criteri al fine, in particolare, di soddisfare e contemperare in modo il più opportunamente equilibrato due contrapposte e rilevanti esigenze: quelle dei componenti della famiglia e quelle dei creditori che concludono contratti con essi. Prima di stabilire quali siano tali bisogni appare necessario stabilire chi può legittimamente aspirare a ottenerne il soddisfacimento mediante i frutti derivanti dai beni conferiti nel fondo patrimoniale. Anche tale profilo soggettivo si pone in stretta correlazione con la posizione dei creditori. Infatti, così come in relazione all'area dei bisogni, a seconda della estensione o della delimitazione di tali soggetti, possono aumentare o diminuire le ipotesi di esecutività dei beni compresi nel fondo da parte dei creditori. Va peraltro fatto presente che una interpretazione di tipo estensivo di tali elementi se da un lato aumenta i casi in cui i contratti stipulati riguarderanno la famiglia e, quindi, le ipotesi di ammissibile esecutività dei beni in questione, dall'altro lato proprio tale estensione agevola la possibilità di accedere al credito per soddisfare tali esigenze.
Il legislatore, come detto, ha più volte fatto riferimento alla nozione di bisogni della famiglia senza però delinearla e specificarla. Tale compito è stato quindi svolto dalla giurisprudenza e, soprattutto, dalla dottrina.
Esaminando le disamine svolte dalla dottrina, un dato, in particolare, appare pacifico. Si tratta del rilevato stretto collegamento tra soddisfacimento dei bisogni di vita e l'onere di contribuzione che sussiste in capo ai familiari . In tale ottica i componenti gravati da tale onere e nello stesso tempo destinatari del soddisfacimento di tali bisogni sono da intendersi quelli che compongono la cosiddetta famiglia nucleare e non, quindi, altri familiari e parenti. Si tratta dei coniugi e dei figli (artt. 143 u.c. e 315 cc). Tali conclusioni possono ricavarsi anche esaminando la disciplina del fondo patrimoniale nel suo complesso da un lato e considerando, dall'altro lato, l'altro istituto esistente funzionalizzato ai bisogni dalla famiglia, ossia l'usufrutto legale dei genitori sui beni dei figli minori. Sotto il primo profilo rilevano il richiamo alla disciplina della comunione legale operata dall'art. 168 cc, la disciplina relativa agli atti di disposizione dei beni compresi nel fondo nel caso in cui vi siano figli minorenni(art. 169 cc) e la disciplina particolare dettata dall'art. 171 in caso di cessazione del fondo ove sono previste particolari regole volte esclusivamente a salvaguardare la posizione dei figli minorenni. Tutti tali riferimenti normativi inducono a considerare quali soggetti i cui bisogni possono essere soddisfatti con i proventi derivanti dal fondo quelli che compongono la famiglia nucleare.
Stesse considerazioni possono essere svolte in relazione al secondo profilo, considerando le affinità soprattutto di funzione tra i due istituti dell'usufrutto legale e del fondo patrimoniale. L'usufrutto legale è volto a soddisfare le esigenze di vita dei i genitori e dei figli minorenni.
Quando si parla dei figli a quelli legittimi vanno equiparati quelli adottivi, gli affiliati e anche i minori in affidamento temporaneo ai sensi della legge n. 184 del 1983.
In dottrina si è ipotizzato che soggetti beneficiari possono essere considerati anche i nipoti nel caso in cui, morti i genitori, essi convivono con i nonni e questi ultimi hanno costituito un fondo patrimoniale; in tale ipotesi in capo agli ascendenti, ai sensi dell'art. 148 cc, sussiste un onere di contribuzione .
Vi sono poi delle ipotesi in relazione alle quali sussistono tesi contrastanti in dottrina.
Si tratta del caso del figlio di uno dei coniugi nato da una precedente unione o adottivo e nei confronti del quale sussistono evidentemente degli obblighi di mantenimento e delle ipotesi dei figli maggiorenni conviventi sia allorquando autosufficienti economicamente sia nel caso in cui non lo siano.
Con riferimento alla prima ipotesi sono state proposte varie tesi: una, negativa, fa leva sul presupposto che l'impegno di provvedere ai bisogni della vita deve riguardare la coppia ; altre teorie si caratterizzano per una soluzione positiva ma a condizione, secondo alcuni, che tale figlio conviva con la famiglia legittima del proprio genitore , secondo altri, che tale rapporto di filiazione sia sorto antecedentemente alla costituzione del fondo patrimoniale .
Forse la soluzione più corretta, almeno formalmente, è quella per cui se il genitore dispone di proprie sostanze al fine di ottemperare ai propri obblighi di mantenimento, a prescindere dalla convivenza o dal momento in cui è sorto il rapporto di filiazione, i relativi bisogni non rientrano in quelli che il fondo patrimoniale è destinato a soddisfare; viceversa se tali sostanze non fossero sufficienti, quello del genitore diverrebbe un vero e proprio bisogno e appare giusto che i frutti derivanti dai beni compresi nel fondo patrimoniale possano soddisfare. Infatti, come verrà evidenziato in seguito, per bisogni vanno intesi anche quelli che riguardano i familiari individualmente considerati, salve alcune eccezioni. Inoltre, ai sensi dell'art. 328 cc, il genitore che passa a nuove nozze conserva l'usufrutto legale con l'obbligo di accantonare in favore del figlio quanto risulti eccedente rispetto alle spese per il mantenimento, l'istruzione e l' educazione di quest'ultimo. Quindi, il figlio eventualmente può contare anche su tali sostanze economiche. Ma mancando esse o le capacità economiche proprie del suo genitore, appare ragionevolissimo affermare che il fondo, come detto, subentri nel soddisfare i bisogni in questione. Spostandosi su un piano più squisitamente sostanziale e, quindi, di solidarietà, si può prendere spunto da quanto affermato da un importante Autore in passato in sede di commento all'art. 315 cc che prevede l'obbligo di contribuzione da parte dei figli finché convivono con la famiglia. Tale Autore ha affermato che il fondamento di tale previsione è da ravvisarsi nella solidarietà che nasce dalla convivenza sotto lo stesso tetto. E giunge ad affermare che l'obbligo in questione ex art. 315 cc sussiste anche in capo al figlio di uno dei coniugi inserito nella famiglia legittima del suo genitore. Quindi, se si sostiene che anche il figlio di uno dei coniugi che ha fatto ingresso nella famiglia legittima del genitore è tenuto alla contribuzione economica o di fatto lo fa, può anche affermarsi che lo stesso possa essere destinatario dei benefici del fondo patrimoniale; rimarrebbero, tuttavia, in questo caso, i problemi di sovrapposizione e di coordinamento con la disciplina dettata dall'art. 328 cc.
Per quanto riguarda i figli maggiorenni, occorre svolgere distintamente l'analisi, distinguendo il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, quello autosufficiente e quello che, raggiunta l'autosufficienza successivamente la perda.
A tale proposito va subito chiarito che la previsione dell'art. 171 cc, primo e secondo comma, non può assumere un ruolo decisivo. Ai sensi di tali disposizioni la destinazione del fondo termina a seguito dell'annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio. Questa norma sembrerebbe escludere la rilevanza dei bisogni o dell'interesse dei figli maggiorenni. Ma tale norma contrasta con i principi generali che si sono nel tempo affermati nell'ambito del diritto di famiglia, con particolare riferimento ai diritti (e agli obblighi) dei figli maggiorenni in particolare non autosufficienti economicamente. La giurisprudenza di merito , recentemente, ha proprio sollevato questa problematica, evidenziando, nelle motivazioni, tale ritenuta ingiustificata differenza di disciplina.
Va condiviso, allora, quanto sostenuto da una parte della dottrina secondo la quale il problema va affrontato tenendo in debito conto il collegamento tra fondo patrimoniale e dovere di contribuzione .
Se, per costante giurisprudenza, sussiste in capo ai genitori l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente (sempre che tale mancanza di autonomia non sia attribuibile alla negligenza dello stesso), ne deriva che le necessità di essi rilevano quali bisogni ex art. 167 cc. La nuova disciplina sull'affidamento condiviso (art. 155 quinquies cc) ha cristallizzato tale principio laddove è previsto che può essere stabilito un assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente e può essere stabilito che esso venga versato direttamente all'avente diritto.
Qualora il figlio maggiorenne disponga di redditi e sostanze è tenuto a contribuire economicamente al mantenimento della famiglia, sempre che conviva con essa. Ciò prevede l'art. 315 che si riferisce a tutti i figli minorenni e maggiorenni. Ne consegue che un principio identico in tema di contribuzione, in omaggio al principio di solidarietà familiare, debba sussistere anche a vantaggio del figlio maggiorenne autonomo, in particolare, in presenza di un fondo patrimoniale il quale, come oltre si vedrà, può essere destinato a soddisfare un'ampia fascia di bisogni.
Rimane il problema del figlio maggiorenne autosufficiente che successivamente viene a trovarsi privo di autonomia economica. In quest'ottica un certo interesse assume una sentenza della Corte d'Appello di Roma del 1995 secondo cui nell'ipotesi in cui il figlio maggiorenne vanti un'occupazione lavorativa e successivamente la perda per colpa dello stesso e si trovi in una situazione di mancanza di autonomia perdurante, sempre per sua colpa, egli non ha più diritto al mantenimento, non essendo più ipotizzabile un suo rientro in famiglia nella posizione dell'incapace di autonomia, né un ripristino di quella situazione di tutela che il legislatore accorda ai figli che per difetto di requisiti personali o per ragioni ambientali non hanno potuto raggiungere l'autonomia. Affermano tali giudici che in assenza di colpa possono essere chiesti iure proprio gli alimenti.
Seguendo tale ragionamento dei giudici romani, che appare condivisibile, non può essere considerato un bisogno quello derivante dalla una situazione di indigenza sussistente per colpa, negligenza o superficialità (e in assenza di minorazione fisica o psichica) e, quindi, tale figlio maggiorenne non potrebbe beneficiare dei frutti del fondo patrimoniale nemmeno per il soddisfacimento delle esigenze primarie ed essenziali della vita.
In assenza di colpa si ritiene che limitatamente allo stretto necessario il fondo patrimoniale può essere destinato a soddisfare i bisogni del figlio maggiorenne.
Infine, l'eccezionalità e la tipicità dell'istituto del fondo patrimoniale escludono che esso possa essere costituito dai conviventi more uxorio, almeno allo stato e salve diverse future regolamentazioni da parte del legislatore della famiglia di fatto e, quindi, in ipotesi, del fondo patrimoniale dal punto di vista dei soggetti legittimati a costituirlo.
3) La nozione di bisogni della famiglia e il caso di specie.
Il concetto di bisogni della famiglia, come già evidenziato, ricorre frequentemente nell'ambito della disciplina del fondo patrimoniale (artt. 167 - 168 -170). A tale nozione occorre però attribuire un significato differente rispetto a quello di mantenimento o di situazione di bisogno nell'ambito della disciplina degli alimenti. Il fondo patrimoniale costituisce un regolamento particolare inerente i rapporti patrimoniali tra i coniugi necessariamente gregario rispetto a quelli della comunione legale e convenzionale o della separazione dei beni. Come evidenziato, il fondo patrimoniale è un istituto strettamente collegato all'onere di contribuzione che grava sui componenti della famiglia. Come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità alla nozione in parola va attribuito un significato ampio così da non considerare quali bisogni semplicemente ciò che è indispensabile e strettamente legato all'esistenza della famiglia, bensì tutti quelle esigenze volte al pieno mantenimento e all'armonioso sviluppo della famiglia e volte altresì al potenziamento della capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi. In dottrina è stato specificato che nella nozione di bisogni rientrano anche tutte quelle esigenze individuali volte allo sviluppo personale e professionale del singolo componente della famiglia e così, a titoli di esempio, le spese per consentire un miglioramento o il perfezionamento professionale, stages, masters, esperienze di studio all'estero, quelle legate alla tutela della salute, quelle inerenti determinati svaghi, hobbies, viaggi, etc. Qualcuno ha opportunamente escluso quelle per l'acquisto di sostanze stupefacenti , anche se si potrebbe obiettare che in certi gravi crisi di astinenza l'assunzione di una dose potrebbe sopperire a un bisogno immediato dell'utilizzatore giustificabile, però, ai fini in parola, in quelle situazioni in cui è stato avviato o è in corso di avvio un programma di recupero presso un centro o una comunità. Le relative spese per la cura e il recupero sono da considerasi evidentemente quali bisogni e possono essere soddisfatte con i frutti del fondo. Ancora, sono da intendersi quali bisogni le spese per l'amministrazione dei beni compresi nel fondo patrimoniale e quelle volte ad attribuire un incremento di valore degli stessi beni. Anche gli esborsi per attuare un concordato svolgimento di un tenore di vita superiore alle effettive possibilità spendendo l'intero reddito e intaccando progressivamente il capitale possono rientrare nella nozione di bisogni in esame . In mancanza di scelta di un indirizzo della vita familiare ex art. 144 cc occorre fare riferimento a un criterio oggettivo e, in particolare, occorre considerare l'intero reddito della famiglia per stabilire se una determinata spesa sia stata effettuata per soddisfare un bisogno ex art. 167 cc. In particolare è da escludersi dalla nozione di bisogno quella spesa fatta da un coniuge volta a soddisfare esigenze di vita eccessivamente elevate rispetto al reddito disponibile. La determinazione dell'estensione della nozione di bisogni della famiglia è particolarmente importante in quanto strettamente collegata alle ipotesi di esecuzione dei beni (e dei relativi frutti) compresi nel fondo patrimoniale. L'art. 170 cc, come già ricordato, prevede che "l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Proprio il riferimento ai "…debiti contratti…" di cui all'art. 170 cc ha fatto sorgere problemi e relativi dibattiti in relazione alla eventuale sussistenza di obbligazioni non derivanti da contratto, ma da fatto illecito.
A tale proposito la Suprema Corte ha precisato che "il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esclusiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale, va ricercato non già nella natura delle obbligazioni (ex contractu o ex delicto ), bensì nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che, ove la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio, ancorché consistente in fatto illecito, abbia inerenza diretta ed immediata con le esigenze familiari, deve ritenersi operante la regola della piena responsabilità del fondo".
Una vivace discussione, passando così a esaminare il tema specifico della controversia decisa dal giudice di Mondovì, sussiste altresì in dottrina in ordine alle spese compiute da uno dei coniugi nell'ambito della propria personale attività di impresa .
Nel caso in esame, il marito, titolare di una propria impresa, aveva acquistato merci per un rilevante importo e il creditore, non essendo stato saldato, otteneva un decreto ingiuntivo e successivamente provvedeva al pignoramento di una quota pari alla metà dell'immobile conferito nel fondo patrimoniale dai coniugi. Di qui, quindi, l'introduzione di un giudizio di opposizione all'esecuzione. La difesa del coniuge affermava l'estraneità di tali obbligazioni alla nozione di bisogni della famiglia. La controparte, proprio prendendo spunto dalla estensione di tale nozione operata dalla giurisprudenza e da parte della dottrina, sosteneva il contrario.
Il giudice di Mondovì ha dato ragione al coniuge. Le motivazioni di tale sentenza sono molto elaborate e ricche di riferimenti a precedenti e teorie varie. Tale giudice ha fatto riferimento alla necessità di contemperare equamente da un lato la tutela della famiglia (onde evitare di svuotare di significato l'istituto del fondo patrimoniale) dall'altro quella dei creditori. Ai fini della tutela della famiglia e dei suoi bisogni, quindi, afferma il giudice piemontese, occorre non estendere la nozione di bisogni familiari, al fine di evitare una eccessiva estensione delle ipotesi di espropriabilità dei beni compresi nel fondo patrimoniale in contrasto con le finalità e le caratteristiche dell'istituto del fondo patrimoniale.
E con riferimento alla tipologia dei debiti oggetto del giudizio in questione, quelli assunti da un coniuge nell'ambito della propria personale attività di impresa, il giudice di merito in questione evidenzia che occorre valutare ogni singolo debito al fine di stabilire se esso è da intendersi collegato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia .
Evidenzia, inoltre, e si tratta del passaggio sicuramente più significativo ai fini della decisione della controversia, che l'imprenditore non è tenuto a destinare alla famiglia tutti i ricavi che lo stesso trae dalla propria attività, essendo tenuto a farlo solamente limitatamente a quello che è nella specie il proprio onere contributivo. Il giudice di Mondovì, quindi, fa riferimento a tutte le forme di pubblicità previste per la costituzione del fondo patrimoniale in virtù delle quali ogni soggetto che contratta con il coniuge imprenditore può venire a conoscenza dei vincoli in questione e alla possibilità per il creditore di esercitare l'azione revocatoria qualora il fondo patrimoniale sia stato costituito successivamente al sorgere del credito. Infine, con riferimento al requisito ex art. 170 cc rappresentato dalla conoscenza, da parte del creditore, che si trattava di debiti extrafamiliari, vengono fatte certe precisazioni in ordine all'onere della prova. In particolare, viene affermato che la necessità di accertare tale requisito sussiste solo in presenza di debiti che possono comportare dubbi circa la loro qualifica, ovvero di quelle "obbligazioni che sono neutre sotto il profilo della funzione, o meglio dello scopo" e viene fatto l'esempio della imbarcazione che può essere utilizzata per viaggiare e per svago da parte della famiglia ma anche, ad esempio, per esercitare il contrabbando di sigarette. Si tratta, ad avviso del giudice di Mondovì, di una terza categoria di debiti accanto a quelle che oggettivamente esprimono debiti familiari (come la locazione di un appartamento destinato a civile abitazione della famiglia) e a quelle che oggettivamente non li esprimono (come ad esempio il prestito contratto per far fronte a debiti di gioco). In relazione alla categoria "neutra", a cui vanno ricondotti i debiti senza finalità specifica, i beni conferiti nel fondo patrimoniale sono liberamente espropriabili, salvo che il coniuge dimostri la conoscenza da parte del creditore dell'estraneità degli stessi ai bisogni della famiglia. E se si tratta di un debito "oggettivamente" extrafamiliare non sarebbe necessaria alcuna indagine psicologica del creditore, ma, al contrario, si realizzerebbe un'inversione dell'onere della prova e, quindi, dovrà essere il creditore a dimostrare che lo scopo perseguito dal debitore era quello di beneficiare la famiglia. Fatte queste considerazioni, il giudice di Mondovì ha nella specie ritenuto superflua l'assunzione di prove poiché i debiti assunti in oggetto (acquisto di tubi, rubinetti, raccordi, etc.) sono da considerarsi extrafamiliari e, soprattutto, considerando la sussistenza della conoscenza da parte del creditore che il coniuge in questione esercitava l'attività di idraulico (circostanza non contestata nel giudizio). Il discorso, in astratto, potrebbe essere diverso qualora il creditore allegasse e dimostrasse la non conoscenza dell'attività di idraulico dell'altro contraente e, in particolare, la consapevolezza che il materiale fosse stato acquistato per effettuare lavori, ad esempio, nella casa familiare.
Alcuni aspetti dell' impostazione offerta dal giudice di Mondovì appaiono condivisibili, altri, invece, appaiono interessanti, ma un po' discutibili. Sicuramente condivisibile è la circostanza che i debiti di tipo ordinario contratti dall'imprenditore per lo svolgimento della sua attività sono da considerarsi estranei ai bisogni della famiglia e che comunque quest'ultimo non è certo tenuto a destinare i propri ricavi a favore della famiglia, ma soltanto nei limiti in cui è tenuto a contribuire ai bisogni della famiglia, senza contare che può accadere che lo stesso conferisca nel fondo patrimoniale propri beni immobili o azioni o obbligazioni i cui frutti da soli già esauriscano l'onere contributivo predetto.
Qualche dubbio suscita la suddivisione in tre categorie dei debiti ex art. 170 cc, anche se è apprezzabile il tentativo di ordinare un po' la materia, stante la lacunosità, sotto certi aspetti, della disciplina codicistica (peraltro prevedere e disciplinare per legge tutte le ipotesi di obbligazioni volte a soddisfare i bisogni di famiglia in questione appare un'operazione non semplicissima, vista la varietà di situazioni che possono verificarsi e che in concreto si sono verificate, mentre altre sono state solo ipotizzate dalla dottrina).
Tale indicazione di categorie sembra determinare una certa rigidità che tutto sommato mal si concilia con una nozione indeterminata ed elastica come quella di bisogni della famiglia. Come emerge dalle dispute dottrinali tale nozione è un po' come un contenitore vuoto che può essere riempito in diversi modi. E' vero che certe obbligazioni sono manifestamente e indiscutibilmente assunte per soddisfare i bisogni della famiglia, esempi in tal senso se ne possono fare molti; peraltro proprio con riferimento a obbligazioni considerate dal giudice di Mondovì "oggettivamente" extrafamiliari, ovvero i debiti di gioco di un componente della famiglia, si registra in dottrina un certo contrasto sulla riconducibilità o meno di essi ai bisogni della famiglia. Stesse considerazioni si possono fare in relazione ad obbligazioni da fatto illecito, ad esempio risarcitoria per lesione della libertà contrattuale, da gestione di affari altrui, indebito pagamento, etc. Dire che sono neutre, senza finalità specifica e, quindi, senz'altro annoverabili quali obbligazioni extrafamiliari, appare un po' riduttivo. Ogni caso merita uno specifico esame al fine di stabilirne la riconducibilità in questione, stante le peculiarità e le sfumature che ognuno di essi presenta, come la casistica dimostra . Tale classificazione appare, quindi, incidente su un piano più che altro astratto, assumendo esclusiva rilevanza la prova che le parti offrono nei giudizi, salvi quei casi in cui effettivamente la natura dell'obbligazione sia evidente . E lo stesso giudice piemontese sottolinea, in definitiva, la rilevanza dell'istruzione probatoria nei singoli giudizi, seppur proponendo regole particolari riguardo l'onere probatorio e l'inversione di tale onere.
Nella specie, l'onere di tale prova come regola generale dovrebbe gravare sui coniugi o il coniuge (o i figli) che sollevano la relativa eccezione, come ha precisato la giurisprudenza di merito e come afferma la dottrina quasi unanime